mercoledì 2 marzo 2011

Illuminare le relazioni

Sabato 26 Febbraio 2011, dalle ore 15.00 alle ore 17.00
presso la Sala Civica "Corte delle Filande" di Montecchio Maggiore,
si terrà un incontro-dibattito con Stefano Ciccone,
autore di "Essere maschi. Tra potere e libertà".















Presenti al convegno: 160 persone



Introduzione, a cura di Laura Portinari
Buongiorno a tutte e a tutti, benvenute a questo incontro con Stefano Ciccone dell’Associazione e rete nazionale Maschile Plurale.
Gli diamo il benvenuto e lo ringraziamo per la generosa disponibilità a incontrarci e dialogare con noi. Stefano, così vogliamo rivolgerci a lui, è biologo, coordina il Parco Scientifico e Tecnologico della Università di Roma Tor Vergata, ed è autore del libro “Essere maschi tra potere e libertà”.
Gli abbiamo chiesto di venire a raccontarci la sua esperienza di uomo che da molti anni si interroga insieme ad altri uomini sulla propria identità maschile,  in una costante presa di coscienza e di decostruzione di stereotipi e modelli,  per pensarsi e viversi in un modo nuovo. Un uomo che sente la costrizione e il peso di essere preso a simbolo e misura di una neutra razionalità, ed invece vuole viversi come corpo parlante e desiderante nuove e più libere relazioni.
Perché, nonostante sia un tempo di crisi profonda della cultura patriarcale, essa non ha perso ancora il potere di influenzare e determinare pesantemente l’immaginario e i comportamenti degli uomini, ma non solo degli uomini. Tempo in cui contemporaneamente le donne hanno approfondito e arricchito un pensiero femminile, una capacità di dirsi a partire dalla propria differenza o meglio dalla propria “parzialità”, come Stefano nel suo libro ci invita a definire questa nostra condizione umana. Tempo in cui viviamo costantemente le contraddizioni e le difficoltà che emergono dalla complessità e dalla ricchezza di storie individuali con cui le donne e gli uomini del nostro tempo vogliono essere riconosciuti. Tempo in cui la violenza sulle donne e la riduzione delle stesse ad un corpo mercificato è sotto gli occhi di tutti.

Il nostro impegno come donne e come Associazione vuole essere quello di far diventare le nostre parole, i nostri desideri, le nostre difficoltà quotidiane del vivere, parole e gesti con un valore politico.
In quale modo? A partire dalle esperienze personali di ciascuna di noi, dalla condivisione consapevole delle inquietudini che ci attraversano e attraversano il nostro tempo, stiamo cercando da qualche anno, di promuovere iniziative di sensibilizzazione, di riflessione sull’identità femminile, sul rapporto con la diversità culturale, sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Da ultimo per cercare di far emergere dall’oscurità un triste e pesante fenomeno, nel 2009 abbiamo aderito alla tappa in Veneto della Staffetta contro la violenza sulle donne, consentendo così di metterci in rete con altre donne e di includere Montecchio Maggiore all’interno di una manifestazione nazionale .
In quella occasione, anche insieme ad altre donne migranti, mediatrici culturali del nostro territorio, abbiamo voluto porre l’attenzione sulle cause della violenza sulle donne. Violenza che si manifesta nel silenzio e nel chiuso delle case private più che in qualsiasi strada oscura o poco sicura. Si rende necessario fare luce e scandagliare più in profondità queste relazioni non sane, non felici, che anche quando non portano la violenza fisica o addirittura la morte, portano una grande sofferenza, una morte interiore delle donne, una perdita di senso e di valore di sé.
Sono le relazioni prima di ogni altro luogo ad aver bisogno di essere illuminate.

Dopo la Staffetta, ci siamo chieste: e adesso? Come possiamo costruire relazioni di maggior amore, di rispetto, di libertà, all’interno delle famiglie, delle nostre case, dei posti di lavoro, dei luoghi quotidiani della nostra vita? Come e con chi intessere un dialogo se non con gli uomini presenti nelle nostre singole esistenze, nei nostri contesti? Se sono le relazioni a dover cambiare, si rende necessario più che mai “starci in relazione”, anche quando questo comporta una fatica ed è forte la tentazione di allontanarcene. Si tratta di comprendere come “starci nella relazione”. A volte si rendono necessarie delle separazioni, delle lontananze, per maturare una maggior presa di coscienza individuale, altre volte non dobbiamo fuggire una vicinanza che ci richiede un ascolto più profondo, un nuovo modo di esprimerci, una diversa autonomia.
Mariti, compagni, fratelli, figli, colleghi, amministratori possono anche essere estranei alla violenza che va a finire nelle pagine dei giornali e che tutti condanniamo, ma in quanto uomini e maschi portano dentro come pesante fardello,  questa potenziale condizione culturale di una identità di genere che li condiziona e li determina.
Noi donne anche se non subiamo violenza e sopruso, molto spesso soffriamo il silenzio dei nostri uomini, la loro incapacità di dire i loro sentimenti, i loro desideri, la fragilità anche dei loro corpi. Questo silenzio rende oltre che la loro, anche la nostra vita, meno ricca e felice.
Molto spesso ad essere violentato è il diritto e il bisogno di donne e uomini di vivere umanamente. Che significa avere un lavoro per vivere,  poter esprimersi creativamente secondo le proprie aspirazioni, interessi e piaceri, vivere in salute, accedere alla conoscenza di sé e del mondo con capacità critica,  vivere e condividere buone relazioni, avere ed essere dentro a un tempo individuale e sociale che permetta tutto questo.
La nostra società è organizzata intorno alla centralità  di un “homo economicus e technologicus” che vuole donne e uomini, giovani e meno giovani, che mettano a tacere molto di sé, molto dei loro corpi che sappiamo non essere onnipotenti. I maschi rispondono meglio di noi donne a questa richiesta di silenzio, per una storia che viene da lontano. Conoscono e praticano da molto tempo questo silenzio, lo agiscono con parole e gesti di dominio sul corpo e sulle emozioni, più o meno consapevolmente.
Per rendere reale il diritto ad una vita più umana, siamo chiamate tutte e tutti a ri-immaginare, ri-creare e ri-organizzare le relazioni.
Dobbiamo prenderci cura delle relazioni, di noi stessi e degli altri per essere più felici, anche perché la vita senza che noi lo vogliamo, spesso ci mette nella situazione di essere privati della salute, del lavoro, degli amici e degli affetti.
Noi donne che portiamo nel nostro bagaglio culturale, questa sapienza della cura finora agita nel privato delle nostre esistenze, dobbiamo chiedere e promuovere con grande forza e passione che questo verbo “avere cura” diventi il verbo con cui si coniugano le agende politiche e l’agire pubblico. Non si tratta di contenuti e di questioni femminili, contorno o gradevolezza che fa da sfondo ai grandi temi politici ed economici. E’ IL MODO con cui tutti questi devono essere affrontati. Riguarda tutte e tutti.

Nutriamo un grande desiderio che questo maturi e si renda più presente nelle nostre esistenze.

Penelope
Penelope che vedete alle mie spalle, figura della mitologia greca, moglie di Ulisse, attese per vent’anni il ritorno del marito, partito per la guerra di Troia. E’ riuscita ad evitare di scegliere uno tra i proci, nobili che pretendevano la sua mano in questo periodo di assenza di Ulisse, anche grazie ad un famoso stratagemma:
di giorno tesseva il sudario per Laerte, il padre di Ulisse, mentre di notte lo disfaceva. Avendo promesso ai proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all’infinito il momento della scelta.
Un certo ordine sociale  ha preso questa figura mitica di Penelope come simbolo della moglie operosa e fedele.

Ma noi donne dell’Associazione La Clessidra ve la proponiamo in modo simbolico come una donna che sconvolge il tempo e il luogo che le sono assegnati, tessendo e disfacendo la tela per sottrarsi ad un destino che “altri hanno scritto per lei”. Una donna che vive in uno stato di attività e attesa, sostenuta dall’intenso desiderio di un incontro, desiderio di essere fedele a se stessa innanzitutto.
Non dobbiamo scoraggiarci quando il tessuto delle nostre relazioni sembra disfatto, forse è il momento più interessante per mettere insieme i fili in modo diverso.
Vogliamo aspettare l’8 marzo ed ogni altro giorno in questo modo, con un nuovo stile di vita.

Da sinistra: Michela Cozza (Ass. La Clessidra);
Stefano Ciccone (Ass. Maschile Plurale);
Laura Portinari (Ass. La Clessidra)


 



In alto, da sinistra: Patrizia Bernardini, Michela Cozza (dietro), Rita Framarin (dietro), Pina Arenga, Patrizia Barbadoro, Rosa Strano, Antonella Framarin, Marisa Crestani (dietro), Laura Portinari, Miria Nicoletti (dietro), Caterina Grillo, Francesca Centomo, Donatella Barigelli.
In basso, da sinistra: Antonella Centomo, Stefano Ciccone, Cristina Caldonazzo